“In ciascuno di noi c’è una piccola bambina o un piccolo bambino che soffre.

Da piccoli, tutti abbiamo trascorso momenti difficili e molti hanno subito traumi.
Spesso cerchiamo di dimenticare i periodi dolorosi per proteggerci e difenderci da future sofferenze.
Ogni volta che entriamo in contatto con l’esperienza della sofferenza, crediamo di non poterla sopportare e ricacciamo sentimenti e ricordi giù, in fondo al nostro inconscio. Forse non ci curiamo da diversi decenni di quel bambino dentro di noi.
Ma il fatto che lo abbiamo ignorato non significa che non sia comunque lì.

Il bambino ferito chiede cura e amore, e noi invece ci comportiamo in modo opposto.
Anche se abbiamo tempo, non torniamo a prenderci cura di noi stessi, ma cerchiamo di tenerci costantemente occupati.
Il nostro bambino ferito invece, ha bisogno di ascolto, di comprensione, di compassione e, se non viene ascoltato, grida per chiedere attenzione, attraverso malattia, incidenti, creando ancora dolore. Se sei consapevole puoi sentire la sua voce che ti chiede aiuto, allora, attraverso il respiro, abbraccia il tuo bambino interiore rivolgendoti a lui :
“Mi prenderò cura di te, nel passato hai tanto sofferto, ti ho trascurato, non ti ho ascoltato, ma ora ho imparato a tornare a te.”
in qualunque momento ne senti la necessità puoi sedere e respirare con il tuo bambino o la tua bambina ferita:
“Inspirando, torno a te, mia bambina ferita; espirando mi prendo cura di te.”.

La bambina e il bambino feriti sono presenti in ogni cellula del nostro corpo, non c’è cellula che non li contenga.  Non è necessario andarli a cercare lontano nel nostro passato; è sufficiente che guardiamo in profondità e possiamo entrare in contatto con lei, con lui.
La sofferenza di quel bambino o di quella bambina ferita abita in noi proprio ora, nel momento presente.
Ma proprio come in ogni cellula del nostro corpo è presente la sofferenza, così sono presenti anche i semi della comprensione risvegliata e della felicità..

C’è una lampada in noi…il respiro, i passi, il sorriso gioioso sono l’olio con cui accendiamo la lampada della Presenza:
La luce si diffonde e l’oscurità si dissolve e cessa.
Questa è la pratica che dovremmo imparare.“

T.N.Hanh

Come posso imparare ad amarmi?        Seconda parte

Meditazione rilassamento e meditazione della scrittura, le condizioni per la felicità

Meditazione, rilassamento e comunicazione con il bambino interiore, Meditazione dei due cuscini 2021

Meditazione, rilassamento. Parla con il bambino interiore, Meditazione dei due cuscini 2020

La bellissima favola del fiume.
Thich Nhat Hanh 

C’era una volta un bel fiume che scorreva fra colline, boschi e praterie. All’inizio era un gaio ruscelletto, uno zampilIo giocoso e canterino che scaturiva rapido dalla cima del monte. Allora era giovane, ma quando scese in pianura rallentò. Pensava al momento in cui sarebbe arrivato all’oceano. Col tempo, crescendo, imparò a farsi bello, serpeggiando con grazia fra colline e praterie.

Un giorno si guardò e vide riflesse dentro di sé le nuvole.  Nuvole di ogni forma e colore. Per giorni non fece altro che rincorrerle. Voleva una nuvola tutta sua, per tenerla sempre con sé. Ma le nuvole passano nel cielo senza fermarsi mai e cambiano forma continuamente. A volte sembrano un cappotto, a volte un cavallo. L’impermanenza connaturata alle nuvole faceva soffrire molto il fiume. Il piacere e la gioia che provava a rincorrerle si dileguarono, e non vi fu che disperazione, rabbia e odio.

Poi, un giorno, un vento impetuoso spazzò via tutte le nuvole. Il cielo restò completamente vuoto. Il fiume pensò che non valesse più la pena di vivere, dal momento che non c’erano nuvole da inseguire. Era pronto a morire: “Senza nuvole, che senso ha la mia vita?”. Ma un fiume non può certo suicidarsi.

Quella notte, il fiume conobbe un attimo di raccoglimento per la prima volta. Era stato così occupato a inseguire qualcosa di esterno che non aveva mai avuto il tempo di guardarsi. Quella notte fu la sua prima occasione di ascoltarsi piangere, di ascoltare il rumore dell’acqua che batteva contro le sponde. Prestando ascolto alla sua voce, fece una scoperta importante.

Capì che quello che aveva tanto cercato era già dentro di sé. Scoprì che le nuvole non sono altro che acqua. Che nascono dall’acqua e all’acqua faranno ritorno. E scoprì di essere acqua anche lui.

Il mattino seguente, al sorgere del sole, fece una bella scoperta. Vide per la prima volta il cielo azzurro. Non lo aveva mai notato. Interessato com’era alle nuvole, non aveva mai fatto caso al cielo, la casa di tutte le nuvole. Le nuvole sono impermanenti, ma il cielo è perenne. Allora capì che quel cielo immenso dimorava nel suo cuore da sempre. Questa straordinaria intuizione gli donò pace e felicità. Guardando la distesa azzurra di quello splendido cielo, seppe che pace e serenità non l’avrebbero mai più abbandonato,

Nel pomeriggio le nuvole tornarono, ma ora non gli importava più di possederle. Poteva ammirare la bellezza di ciascuna, e dare il benvenuto a tutte. Quando arrivava una nuvola, la salutava con premurosa gentilezza; quando voleva andarsene, con la stessa gentilezza le diceva allegramente arrivederci. Capì di essere tutte le nuvole. Non doveva scegliere fra se stesso e loro. Fra il fiume e le nuvole regnavano pace e armonia.

Quella sera accadde un fatto prodigioso. Quando tutto il suo cuore si aprì ad accogliere il cielo della sera, il fiume ricevette l’immagine della luna piena, bella e rotonda come un gioiello. Non aveva mai immaginato di poter ospitare un’immagine tanto bella. C’è una stupenda poesia cinese che dice: “La luna fresca e bella passa nel cielo assolutamente vuoto. Quando la mente degli esseri viventi è come un limpido fiume, la sua immagine vi si riflette fedelmente”.

Questo era lo spirito del fiume in quel momento. Ricevette l’immagine di quella bella luna nel suo cuore, e acqua, nuvole e luna si presero per mano e si avviarono adagio adagio verso l’oceano, praticando la meditazione camminata.

Non c’è niente da inseguire. Basta tornare a noi stessi, godere del respiro, del sorriso, di ciò che siamo e delle cose belle che ci circondano.

Ritornare al nostro vero sé
Anche se la vita è dura, se a volte riesce davvero difficile sorridere, proviamo. E quando diciamo “Buon giorno”, che sia un vero augurio di buona giornata. Una volta un’amica mi ha chiesto: “Devo costringermi a sorridere anche quando sono piena di tristezza? Mi sembra innaturale”. Le ho risposto che noi siamo in grado di sorridere alla tristezza, perché siamo più della nostra tristezza. Un essere umano è come un televisore con centinaia di canali. Se ci sintonizziamo sul Buddha, siamo il Buddha; se ci sintonizziamo sulla tristezza, siamo la tristezza; e se ci sintonizziamo sul sorriso, siamo davvero il sorriso. Non lasciamoci tiranneggiare da un unico canale. Abbiamo in noi tutti i semi: prendiamo in mano la situazione e recuperiamo la sovranità su noi stessi.

Quando siamo seduti in pace, respirando e sorridendo con consapevolezza, siamo in modo reale, abbiamo sovranità su noi stessi. Quando accendiamo la TV per guardare una trasmissione, quella trasmissione ci invade. A volte è un buon programma, ma spesso è solo rumore. Vogliamo che ci siano sempre altre cose dentro noi stessi oltre al semplice noi stessi; così sediamo davanti al televisore e lasciamo che un programma chiassoso ci assalga, ci invada e ci distrugga. Anche se il sistema nervoso è a dura prova, non abbiamo il coraggio di alzarci e spegnere: se lo tacessimo dovremmo tornare a noi stessi.

La meditazione è il contrario: ci aiuta a ritornare al nostro vero sé. È molto difficile praticare la meditazione in questa società, dove tutto sembra congiurare per allontanarci dal nostro vero sé. Abbiamo a disposizione migliaia di cose, dal videoregistratore alla radio portatile, per fuggire da noi. La pratica della meditazione consiste nell’essere consapevoli, nel respirare, nel sorridere. È l’altra faccia. Ritorniamo a noi stessi per vedere cosa sta accadendo. Meditare significa infatti essere consapevoli di quello che sta accadendo. E quello che sta accadendo è molto importante.

Thich Nhat Hanh 

Pratichiamo come il fiore di loto e il fango.
Prendere consapevolezza della gelosia, del biasimo, della paura che proviamo è già un passo positivo verso l’accettazione. Quando ci accettiamo così come siamo, non abbiamo più alcun bisogno di lottare per cambiarci: è già un progresso renderci conto di essere troppo autocritici e accettare i nostri semi negativi. Le persone che non sono consapevoli delle proprie energie negative trovano difficoltà a progredire.

Anche in questo caso, darsi da fare per aumentare la nostra compassione non vuol dire che da un momento all’altro avremo in noi solo elementi positivi: se così fosse non ci sarebbe nessun bisogno di praticare, invece è proprio perché abbiamo in noi i semi delle energie negative che continuiamo a farlo. La pratica è facile: si tratta solo di prendere coscienza delle nostre energie negative; già coltivando questa consapevolezza compiamo passi sicuri sulla via. Il conflitto non è necessario.

Pratichiamo come il fiore di loto e il fango. Il loto non pensa: “Non voglio il fango”, sa di poter fiorire in modo splendido soltanto grazie al fango. Per noi è lo stesso: abbiamo in noi semi negativi, l’elemento “fango”; se sappiamo come accettarli, accettiamo noi stessi. Il fiore di loto non ha nessun bisogno di sbarazzarsi del fango, anzi: senza fango morirebbe!

Se non abbiamo rifiuti, concime, non possiamo avere fiori. Non dovremmo giudicare noi stessi o gli altri; basterà che pratichiamo l’accettazione e ci saranno progressi senza lotta. Il processo di trasformazione e di guarigione richiede una pratica continua: noi produciamo rifiuti tutti i giorni, quindi abbiamo bisogno di praticare continuamente, di prenderci cura della nostra immondizia per poterla trasformare in fiori.

Può darsi che abbiamo intorno amici che sembrano praticare meglio di noi; è importante che ci accettiamo come siamo e non rifiutiamo noi stessi o i nostri sforzi. Certo, forse ci piacerebbe che fosse il contrario, se abbiamo in noi solo il dieci per cento di fiori e il novanta per cento di immondizia; questo genere di pensieri però non serve a niente. Dobbiamo accettare il nostro novanta per cento di immondizia, se vogliamo essere in grado di incrementare quel dieci per cento di fiori portandolo a dodici, poi a quattordici, poi a venti. Questa accettazione ci darà pace e ci eviterà di cadere in un conflitto interiore. Anche coloro che producono molti fiori ogni giorno hanno in sé un po’ di immondizia e devono praticare in maniera continuativa. Non è un male avere in noi il fango della sofferenza, se sappiamo come praticare. Il Buddha ha detto: «Non puoi far crescere un loto sul marmo, è nel fango che va coltivato».
Anche una persona illuminata deve praticare in questo modo. Forse ti chiederai perché una persona che abbia raggiunto livelli tanto alti abbia bisogno di praticare. Lo fa per continuare a trasformare l’immondizia. Puoi pensare che un illuminato sia una persona che non ha più bisogno di praticare ma non è così: ne ha bisogno per continuare a essere felice, come te e come me; non smette mai di praticare, di respirare, sorridere, camminare in consapevolezza e in questo modo continua a generare dentro di sé i fiori della gioia.

Thich Nhat Hanh

Nutrire la gioia e la felicità

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