𝗦𝘂𝗹𝗹𝗮 𝗰𝗿𝗶𝘁𝗶𝗰𝗮 – 𝗞𝗿𝗶𝘀𝗵𝗻𝗮𝗺𝘂𝗿𝘁𝗶
𝗗𝗼𝗺𝗮𝗻𝗱𝗮: Che ruolo svolge la critica nella relazione? Qual e’ la differenza tra critica costruttiva e distruttiva?
𝗞𝗿𝗶𝘀𝗵𝗻𝗮𝗺𝘂𝗿𝘁𝗶: Anzitutto, perché critichiamo? E’ per capire? Oppure si tratta semplicemente di farlo per dare noia? Se vi critico, vi comprendo? La comprensione viene attraverso il giudizio? Se intendo comprendere, se voglio capire meno superficialmente, ma in profondita’, l’intero significato del mio rapporto con voi, comincero’ col criticarvi? Oppure saro’ consapevole di questa relazione tra voi e me, osservandola in silenzio: non proiettando le mie opinioni, le mie critiche, i miei giudizi, le mie identificazioni e condanne, ma osservando silenziosamente cio’ che accade? E se non critico, che cosa accade? Si e’ li’ li’ per addormentarsi, non e’ cosi’? Il che non significa che non ci si addormenti quando si da’ noia agli altri. Forse diventa un’abitudine, e ci mettiamo a dormire per abitudine. Esiste un intendimento piu’ profondo, piu’ ampio, della relazione, che abbia luogo attraverso la critica? Non importa se la critica sia costruttiva o distruttiva: senza alcun dubbio cio’ e’ irrilevante. Percio’ la domanda e’: “Qual e’ la condizione mentale, e del cuore, necessaria a capire la relazione?”. Qual e’ il processo del comprendere? In quale modo comprendiamo qualcosa? Come comprendete vostro figlio, se vi interessate di lui? Lo osservate, non e’ cosi’? Lo osservate mentre gioca, lo studiate nei suoi diversi modi, umori; non proiettate su di lui la vostra opinione. Non dite che dovrebbe essere questo o quello. Siete vigili, all’erta, non e’ vero? Siete attivamente consapevoli. Allora, forse, comincerete a capire il bambino. Se lo criticate ininterrottamente, se introducete ininterrottamente la vostra propria particolare personalita’, le vostre idiosincrasie, le vostre opinioni, decidendo il modo in cui il vostro bambino debba o non debba essere, e cosi’ via, ovviamente creerete una barriera in quel rapporto. Sfortunatamente molti di noi criticano per configurare, per interferire; troviamo un certo piacere, un certo compenso nel configurare qualcosa: il rapporto col marito, con un bambino o con chichessia. Vi si avverte un senso di potenza, si e’ il padrone, e cio’ offre una remunerazione straordinaria. Senza dubbio, in tutto questo processo non vi e’ alcuna comprensione del rapporto. Vi e’ pura imposizione, vi e’ la brama di modellare gli altri secondo lo schema particolare della vostra idiosincrasia, del vostro desiderio, della vostra volonta’. Tutto cio’ impedisce la comprensione del rapporto, non vi sembra?
Poi vi e’ l’autocritica. Criticare se stessi, condannare e giustificare se stessi: cio’ comporta la comprensione di se’? Quando comincio a criticare me stesso, non limito forse il processo della comprensione, dell’esplorazione? L’introspezione, che e’ una forma di autocritica, disvela il se’? Che cosa rende possibile il disvelarsi del se’? Essere costantemente analitici, timorosi, critici, certamente non comporta tale disvelarsi. Cio’ che lo comporta in modo che si cominci a comprenderlo e’ la consapevolezza costante di esso, senza alcuna condanna, senza alcuna identificazione. Occorre una certa spontaneita’ non si puo’ stare continuamente ad analizzarlo, a disciplinarlo, a configurarlo. Questa spontaneita’ e’ essenziale per capire. Se non faccio che limitare, controllare, condannare, blocco il movimento del pensiero e del sentimento, non e’ cosi’? Ed e’ nel movimento del pensiero e del sentimento che compiro’ scoperte, non nel puro controllo. Quando si compiono scoperte, e’ importante scoprire anche in qual modo agire. Se agisco secondo un’idea, secondo una certa norma, secondo un certo ideale, allora costringo il se’ entro uno schema particolare. In cio’ non vi e’ alcun intendimento, non vi e’ trascendenza.
Cosi’ potra’ darsi intendimento soltanto quando la mente sara’ sileziosamente consapevole, quando osservera’; il che e’ arduo, perche’ noi ricaviamo piacere dall’essere attivi, inquieti, critici, dal condannare e giustificare. E’ questa la nostra intera struttura; e, attraverso lo schermo delle idee, dei pregiudizi, dei punti di vista, delle esperienze, delle memorie, cerchiamo di capire. E’ possibile liberarci da tutti questi schermi e capire, cosi’ direttamente? Senza dubbio lo facciamo quando il problema e’ assai vivo: non passiamo attraverso tutti quei metodi, lo affrontiamo direttamente. La comprensione della relazione si ha soltanto quando tale processo di autocritica viene compreso e la mente si calma. Se mi ascoltate e cercate di seguire, senza troppo sforzo, quanto tento di comunicarvi, allora esiste una possibilita’ di comprenderci l’un l’altro. Ma se continuerete a criticare senza tregua, introducendo le vostre opinioni, quel che avete imparato dai libri, quello che qualcun altro vi ha detto e cosi’ via, allora voi ed io non ci troveremo in rapporto, perche’ fra noi si frapporra’ quello schermo. Se ambedue ci sforziamo di trovare le soluzioni del problema, che si trovano entro il problema stesso, se ambedue siamo ansiosi di andare al fondo della questione, di scoprirne la verita’, di scoprire che cosa essa e’, allora ci troviamo in relazione. Allora la vostra mente e’ nello stesso tempo vigile e passiva, osserva per scorgere quale sia, in tutto cio’, la verita’. Percio’ la vostra mente deve essere straordinariamente docile, non deve ancorarsi ad alcuna idea o ideale, ad alcun giudizio, ad alcuna opinione che abbiate consolidato attraverso le vostre esperienze particolari. La comprensione giunge, senza dubbio, quando vi e’ quella docile pieghevolezza tipica di una mente che sia passivamente consapevole. Allora essa e’ capace di recepire, allora e’ sensibile. Una mente non e’ sensibile quando e’ gremita di idee, di pregiudizi, di opinioni, di pro o contro.
Per intendere la relazione occorre una consapevolezza passiva, il che non distrugge la relazione. Al contrario, rende il rapporto assai piu’ vitale, assai piu’ significativo. Allora esiste, in quella relazione, una possibilita’ di affermazione reale; vi e’ calore, vi e’ senso di vicinanza, che non e’ puro sentimento o sensazione. Se potremo accostarci cosi’, o trovarci in una consimile relazione con qualsiasi cosa, risolveremo facilmente i nostri problemi: i problemi della proprieta’, del possesso, poiche’ noi siamo cio’ che possediamo. Chi possiede denaro e’ denaro. Chi si identifica con la proprieta’ e’ la proprieta’, o la casa, o il mobilio. Similmente con le idee o con la gente; quando vi e’ possesso, non vi e’ relazione. La maggior parte di noi possiede perche’, se non possiede, non ha altro. Siamo gusci vuoti se non possediamo, se non riempiamo la nostra vita di mobili, di musica, di conoscenza, di questo o di quello. E quel guscio fa un sacco di rumore, e quel rumore lo chiamiamo vivere; e di cio’ siamo soddisfatti. Quando vi e’ rottura, quando cio’ si frantuma, allora vi e’ angoscia, perche’ improvvisamente si scopre come siamo fatti: un guscio vuoto, senza molto significato. Esser consapevoli dell’intero contenuto della relazione e’ azione, e in quell’azione vi e’ una possibilita’ di relazione vera, la possibilita’ di scoprirne la grande profondita’, il grande significato, e di sapere che cos’e’ l’amore.
𝗝𝗶𝗱𝗱𝘂 𝗞𝗿𝗶𝘀𝗵𝗻𝗮𝗺𝘂𝗿𝘁𝗶 (𝘓𝘢 𝘱𝘳𝘪𝘮𝘢 𝘦𝘥 𝘶𝘭𝘵𝘪𝘮𝘢 𝘭𝘪𝘣𝘦𝘳𝘵𝘢’)