TRATTATO DI PACE
Mettiamo che un amico o il nostro partner ci dica qualcosa di poco gentile e che noi ci si senta feriti: se replichiamo immediatamente, rischiamo di peggiorare la situazione; un’altra possibilità è respirare in consapevolezza per calmarci, e una volta tranquillizzati quanto basta, dire: “Caro, cara, la cosa che hai appena detto mi ha ferito. Vorrei osservarla a fondo, e vorrei che lo facessi anche tu; possiamo prendere appuntamento fra qualche giorno e osservarla insieme.” Osservare le radici della sofferenza da soli va già bene, osservarle in due è meglio, la cosa migliore è farlo insieme.
Forse siamo in un conflitto interiore, in guerra con noi stessi, e danneggiamo il nostro corpo con droghe o alcool. Ora abbiamo l’opportunità di firmare un trattato con il nostro corpo, le nostre sensazioni, le nostre emozioni. Una volta stipulato un trattato di pace con loro, possiamo essere un po’ più tranquilli e cominciare a riconciliarci con la persona cara, per non parlare dei nostri nemici. È il nostro modo di parlare alle persone care e il nostro modo di agire verso di loro a determinare se le stiamo trattando da persone care o da nemici Se consideriamo nemica la persona che amiamo, come possiamo sperare che ci sia pace nel nostro Paese e nel mondo?
In noi tutti c’è il seme della saggezza; sappiamo che punire l’altro non ci porta da nessuna parte, eppure cerchiamo sempre di farlo: quando la persona cara dice o fa qualcosa che ci fa soffrire ci viene voglia di punirla per questo, convinti di averne un certo sollievo. In alcune occasioni siamo lucidi e sappiamo che è un comportamento puerile e da ignoranti: quando soffrirà la persona cara, a sua volta cercherà di ottenere qualche sollievo punendo noi, il che ci porterà a un’escalation di punizioni reciproche.
Il Trattato di Pace e il Biglietto di Pace sono due strumenti che ci aiutano a risanare la relazione quand’è minata dalla rabbia e dal dolore. Firmando il Trattato di Pace facciamo la pace non solo con l’altro ma anche in noi stessi.

Pratica
Troverete qui di seguito il testo del Trattato di pace. È utile firmarlo per davvero, non limitarsi a leggerlo. Vi si propone di scegliere la sera del venerdì per la discussione, e se il conflitto comincia proprio di venerdì pomeriggio si può scegliere il venerdì successivo; certo, si può scegliere qualunque altra serata, ma è consigliabile il venerdì successivo per due buone ragioni [nota per la red.: inverto per ragioni di logica]: la prima è che siete ancora feriti, e potrebbe essere troppo rischioso cominciare a discuterne proprio in quel momento: potreste dire cose che peggiorerebbero la situazione. Da quel momento al successivo venerdì sera potete praticare l’osservazione profonda della natura della vostra sofferenza, e lo stesso può fare anche l’altro. Mentre guidate, per esempio, avete un’opportunità di osservare a fondo la questione. Prima di venerdì sera forse uno di voi potrebbe avere colto la radice del problema ed essere in grado di dirlo all’altro, e di scusarsi, o magari succede a tutti e due; a quel punto il venerdì sera potreste bere un tè insieme e godere della reciproca compagnia. Questa è la pratica della meditazione: meditazione significa calmarci e osservare in profondità la natura della nostra sofferenza.
Se ora di venerdì sera la sofferenza non si sarà trasformata, sarete comunque in grado di praticare l’arte di Avalokiteshvara: una delle due persone si esprime mentre l’altra ascolta a fondo. Quando parlate, dite la più profonda verità esprimendovi con la parola amorevole, modalità di espressione che l’altro può comprendere e accettare. Mentre ascoltate, sapete che per alleviare la sofferenza dell’altro il vostro dovrebbe essere un ascolto di buona qualità.
La seconda ragione per aspettare fino a venerdì è che se neutralizzate di venerdì sera quel sentimento di dispiacere, poi vi restano ancora il sabato e la domenica da godervi insieme.

TRATTATO DI PACE
Perché possiamo vivere a lungo e felicemente insieme, per riuscire a sviluppare e approfondire costantemente l’amore e la comprensione, noi sottoscritti facciamo voto di osservare e praticare quanto segue:

Quando sono in collera, mi impegno:

1) ad astenermi dal dire e dal fare tutto ciò che potrebbe fare ulteriore danno o incrementare la collera.
2) a non reprimere la rabbia.
3) a praticare il respiro consapevole e prendere rifugio nell’isola in me.
4) a comunicare con calma, entro le ventiquattr’ore, la mia rabbia e la mia sofferenza alla persona che ne è stata causa, a voce o scrivendole un “messaggio di pace”.
5) a chiedere un appuntamento per uno dei giorni seguenti, nella stessa settimana (per esempio per il venerdì sera), a voce o scrivendo un “messaggio di pace”, per discutere più a fondo la questione.
6) a non dire: “Non sono arrabbiato, è tutto a posto. Non sto affatto male. Non c’è nulla per cui arrabbiarsi, nulla che sia sufficiente a farmi arrabbiare.”
7) ad osservare in profondità la mia vita quotidiana – quando sono seduto o sdraiato, quando sto in piedi o cammino – per capire:
• come a volte sia stato maldestro nei confronti dell’altro.
• come io l’abbia ferito, per via della forza delle abitudini che ho in me.
• che i robusti semi di rabbia che ho in me sono la causa prima della mia rabbia.
• che la causa secondaria è la sofferenza dell’altra persona, la quale innaffia in me il seme della rabbia.
• che l’altro sta solo cercando sollievo dalla propria sofferenza.
• che io non posso essere davvero felice finché l’altro soffre.

8) Mi impegno a scusarmi immediatamente, senza aspettare l’incontro concordato, non appena mi rendo conto del mio comportamento maldestro e della mia mancanza di presenza mentale.
9) a proporre di rimandare l’appuntamento se non mi sento abbastanza calmo per incontrare l’altro.

Quando provoco la collera di qualcuno, mi impegno:

1) a rispettare i sentimenti della persona arrabbiata senza ridicolizzarli e a lasciarle il tempo necessario per calmarsi.
2) a non insistere per una discussione immediata.
3) ad accettare, a voce o per iscritto, la richiesta di un incontro, assicurando all’altro che sarò presente.
4) a praticare la consapevolezza del respiro e a prendere rifugio nell’isola in me, per rendermi conto:
• che in me ci sono sia semi di scortesia e di rabbia, e anche abitudini che rendono infelice l’altro.
• che pensavo, sbagliando, che far soffrire l’altro avrebbe alleviato la mia sofferenza.
• che in realtà facendo soffrire l’altro faccio soffrire me stesso.
6) Mi impegno a chiedere scusa non appena mi rendo conto del mio comportamento maldestro e inconsapevole, senza cercare di giustificarmi e senza aspettare l’incontro concordato.

Facciamo voto, chiamando a testimoni il Buddha e la presenza consapevole di tutto il sangha, di tenere fede a questi articoli e di praticare con tutto il cuore. Invochiamo i Tre Gioielli, che ci diano protezione e ci garantiscano chiarezza e fiducia.

Firmato……………………………

il giorno……………… del mese di ……………dell’anno…….
a (località)………………….

Una proposta di pratica:
”Il paradiso è ora o mai”
TNHanh

”Non c’è infelicità senza una storia infelice”
”Non sono le situazioni a farti infelice. Possono procurarti dolore fisico, ma non ti fanno infelice, i tuoi pensieri ti fanno infelice. Le tue interpretazioni, le storie che racconti a te stesso, ti fanno infelice”.
Tolle

Queste  due frasi sono molto concrete e invitano a un riconoscimento attento, ogni volta che nasce la sofferenza, della storia che stiamo aggiungendo alla situazione.
È un invito ad un lavoro molto preciso ed efficace. Non una delle tante frasette ad effetto da dimenticare. Mi sono state di grande aiuto e lo sono ancora. Spero possono esserlo anche per voi.
pb

ATTI DI PACE
di Thich Nhat Hanh
Per noi tutti è molto importante avere il tempo necessario per osservare in profondità la situazione, per renderci conto fino in fondo che la violenza non può mettere fine alla violenza. Solo l’ascolto profondo e gentile e la parola amorevole possono contribuire a ripristinare la comunicazione e a rimuovere le percezioni sbagliate che si trovano alla base di ogni odio, violenza e terrorismo. Con quella realizzazione possiamo aiutare gli altri a raggiungere lo stesso genere di visione profonda.
Molti sono consapevoli del fatto che la via che conduce alla pace è la pace stessa; queste persone si devono riunire, devono dare voce con forza alle loro preoccupazioni e offrire alla comunità la loro visione collettiva. Con questa visione profonda, la compassione ci darà sufficiente forza e coraggio per trovare una soluzione per noi stessi e per il mondo.
Ogni volta che inspiriamo e torniamo a noi stessi, generando armonia interna e gioia, stiamo compiendo un atto di pace. Ogni volta che sappiamo guardare un’altra persona e riconoscere la sofferenza che l’ha portata a parlare o ad agire in modo non abile, ogni volta che siamo in grado di vedere che è vittima della propria sofferenza, il nostro cuore aumenta la propria capacità di compassione. Quando riusciamo a guardare l’altro con gli occhi della comprensione e dell’amore non soffriamo e non lo facciamo soffrire. Questi sono atti di pace che possono essere condivisi con gli altri.

Mio padre mi fa soffrire molto…

Non discriminazione, la storia della mano destra e della sinistra